Regista: Marc Webb
Cast: Rachel Zegler, Gal Gadot, Emilia Faucher, Andrew Burnap, Ansu Kabia, Colin Michael Carmichael, Luisa Guerreiro, Katie Hardwick, Dean Nolan, Jon-Scott Clark, Leon Ung, Gabriela Garcia, Misa Koide, Eddison Burch, Dujonna Gift, Joshmaine Joseph, Kathryn Akin, Alison Eager, Candy Ma, Charlie Man Evans, Charlotte Scally, Lukus Alexander, Philip Birchall, Stanley Duventru-Huret
Genere: Avventura
Durata: 109 minuti
Cinema Garibaldi di Piazza Armerina
Dal 28 Marzo
Giovedì Chiuso
1° SPETTACOLO alle ore 17:00
2° SPETTACOLO alle ore 19:15
3° SPETTACOLO alle ore 21:30
Trama: La storia è nota: Biancaneve viene perseguitata dalla regina cattiva, sua matrigna, che la vuole morta perché lo “specchio delle sue brame” le ha detto che è Biancaneve, e non più lei, la più bella del reame. La ragazza si rifugia presso la casetta nella foresta dei sette nani ma la regina Grimilde, autotrasformata in strega, la convince ad addentare una mela avvelenata: solo un bacio d’amore potrà salvare Biancaneve dalla morte.
In questa riedizione Disney live action della celebre favola dei fratelli Grimm, la cui magnifica versione animata del 1937 fu il primo lungometraggio classico Disney e vinse un Oscar onorario, non ci sono principi.
E Biancaneve è ben più assertiva della precedente protagonista, perché suo padre l’ha cresciuta secondo i principi del coraggio, dell’impavidità e della fierezza personale.
Biancaneve live action è da un lato molto aderente al film d’animazione, del quale riproduce fedelmente alcune immagini iconiche (lo specchio, le ombre dei nani sulla parete della miniera, gli alberi minacciosi durante la fuga della protagonista nel bosco, la trasformazione della regina in “vecchia strega” dalle mani simili ad artigli), dall’altro cerca di aggiornarsi alle sensibilità contemporanee in tema di empowerment femminile, di multietnicità (Biancaneve è interpretata dall’attrice colombiana Rachel Zegler, già Maria nel West Side Story di Steven Spielberg, il cacciatore che dovrebbe ucciderla è afroamericano, e così via) e trasforma i sette nani in creature create dalla grafica computerizzata (ma dà ad un attore affetto da nanismo il ruolo più eroico). C’è persino un riguardo (di troppo) ne confronti della regina, che non verrà uccisa dai nani come nell’originale (del suo destino non diciamo per non fare spoiler).
Il cambiamento più rilevante riguarda l’interesse amoroso di Biancaneve, non più principe azzurro, ma bandito ribelle che non disdegna i furtarelli e che lotta per riportare al trono il legittimo re invece dell’usurpatrice Grimilde. Curioso anche il contrasto fra la bellissima Gal Gadot nei panni della regina e la obbiettivamente meno attraente Zegler, che tuttavia viene elevata a “più bella del reame” in virtù della sua magnificenza interiore. Il fatto che questa Biancaneve esca in pieno clima trumpiano aggiunge elementi esterni di riflessione, perché la gentilezza e l’inclusività di Biancaneve hanno la meglio sull’avidità e la superficialità della matrigna, che concentra su di sé tutte le ricchezze del regno e considera l’appeal estetico la fonte del suo potere.
Il risultato però è una versione ibrida con non pochi elementi grotteschi – in primis i sette nani in CGI – che fanno rimpiangere la morbidezza e la raffinatezza dell’animazione originale (interamente disegnata a mano). Alcune scelte, invece di limitarsi ad aggiornare la favola alla contemporaneità, in qualche modo la snaturano, togliendole quella potenza iconica che l’ha resa immortale. Se è divertente che i nani aiutino Biancaneve a rimettere a posto la loro casetta (anzi, Biancaneve canta, mentre il “lavoro sporco” lo fanno loro) appare snaturante, ad esempio, che Cucciolo, il cui mutismo era un tratto identitario, si metta di botto a parlare, con l’intento empowering di trovare la sua voce.
Biancaneve rimane a metà del guado, senza osare una vera rilettura ironica della fiaba originale, che voleva la protagonista “colf dei sette nani” e in passiva attesa di un principe azzurro che le svolti (letteralmente) l’esistenza, e allo stesso tempo rivelandosi poco rispettosa della forza originaria della favola nera dei Grimm, che costituiva una cruda metafora dell’accettabilità femminile solo in termini di attrattiva estetica, e faceva della vecchiaia la deriva horror della perdita dell’unico potere concesso alle donne. Il balletto finale in stile The Perfect Couple (o Bollywood) appare come un ulteriore segnale del desiderio di accontentare un po’ tutti, con il risultato di non accontentare fino in fondo nessuno.